sabato 26 settembre 2015

Festa

Guardi la fine della strada
e vedi un limite che segna
l'imminenza di una decisione.
La corsa, la salita,
lo scendere, il fermarsi,
non è che limite segnato dalla scelta.
Azione.
Stasi.
Azione della stasi.
Stasi di ogni azione.

Ancora vino?
Vorrei ma è lontano.
Mi accontenterò di un sorso,
voglio solo sentirne il sapore di casa.

La gente è felice,
o almeno spesso crede d'esserlo.
La mia parola è afona.

Incontro passato,
sereno adesso,
nel futuro.
La tristezza si annida in ogni sorriso,
nella malinconia del notare le piccole cose
e sentirle
e soffrire.

La perspicacia
è una punizione.
La tristezza,
stasera,
era nel mio bicchiere di vino
e nel mio sacchetto di carta pane.

Accenno un sorriso
che mesto disegna rughe di me,
chiusa in un sospiro.


Prosit.




mercoledì 23 settembre 2015

Considerazioni delle 11.55

La gente ti cerca quando ha bisogno di te.

Inutile illudersi.
I rapporti sono dettati tendenzialmente dal bisogno.
E non che io sia immune da questa dinamica, intendiamoci.
Ma ogni volta che ne ho la conferma la cosa in se  mi stranisce troppo.


Che io non conosca ancora la mia vera natura?
Che mi manchi la consapevolezza?







Ho bisogno di un caffè.

martedì 22 settembre 2015

Parafulmine

Raccolgo pensieri sparsi ovunque
gialli e rossi
e come un rastrello sulle foglie di settembre
mi abbatto inesorabile e stringo il mucchio
cercando di far ordine,
invano.

Apparentemente unite
ognuna si stacca
e abbraccia
e copre l'altra,
e imprime il proprio colore su quello altrui
senza timore,
insolentemente,
ma con dolcezza e ingenuità.

Così i miei pensieri
sovrastano quell'ordine comune e fittizio
che cerco nella mente
quando il vento del cuore scompiglia la Coscienza,
cacciatrice di Caos.
Liberi
impavidi 
e coraggiosi come luce
si librano sulle corde della musica
che con l'aria si fa vita
e si fa rumore,
se ci si abbandona 
e non la si combatte.

Un parafulmine nero
cattura elettricità
come fossero carezze;
si sporge,
allarga le braccia
e rapisce quell'istante,

chè se non lo facesse
quella tensione si abbatterebbe su ogni cosa
devastando tutto.

Si guarda attorno
ruota gli occhi e si lascia attaversare

come la schiena da brividi,
come gli occhi da colore
come capelli da mani
come le labbra da labbra
come occhi da sangue,
come sangue da occhi.


Autunno del cuore,
nasce amaranto e invecchia poi
sotto un cielo poco pietoso
e si consuma
nell'inverno di uno sguardo stanco
solo
ricurvo
disperato
come rami di ulivo nella neve,
e mani che graffiano la terra

a scavare l'anima.


I gommisti

Amare.
La  più  immane  cazzata  che  una  donna    sia  inesorabilmente  predisposta  a  fare.  
Distruttivo,  equivocabile, esigente  e troppo  egoista.
E’  quando  vorresti riuscire  ad emettere  due  suoni  di senso  compiuto e  non  ci riesci.
Ma non  perché  sei  abbacinata dall’amore più  infinito  che  si  possa
provare,  no. Quella  è  la  prima parte.
Quella  in  cui  la  testa  si  rincoglionisce  del  tutto  e  va  in  stand-by  per  lasciare  spazio  ad  una  serie  di fantasie  inutili  e  deleterie,  in  cui  si  pensa  autonomamente  e  senza  che  nessuno  ci  obblighi,  che  essere innamorati  sia  bellissimo,  che  renda  felici,  che  completi,  che  possa  risolvere  ogni  problema,  sciogliere  ogni dubbio,  far  risalire  qualunque  china,  essere  la  luce  che  vedi  dal  fondo  della  caverna.
Perché  l’amore  è verità,  spontaneità,  dare  senza  ricevere,  ridere,  essere  felici,  essere  amati,  non  essere  mai  soli.  Essere protetti.

Poi  una  mattina  ti  svegli  e  sei    la  peggior  cosa  che  potesse  essere  venuta  al  mondo.  Perché  lo  stesso  seme del  tuo  amore .. ti  rigetta.  Comincia  a  farti  sentire  una  nullità  e  completamente  sbagliata.
Un  essere immondo senza  la  capacità  di  ripetere  la  tabellina  del  5  senza  fare  errori.
E  ti  si  affibbia  un  avverbio  che  il più  delle  volte  è  “troppo”.  Ma  mai  in  accezione  positiva.  Sempre  negativa.  Troppo  opprimente,  troppo stupida,  troppo  esigente,  troppo,  troppo,  troppo.  Per  passare  ad  aggettivi  come  esagerata,  paranoica  e compagnia  cantando.

E  lì  ti  rendi  conto  che  non  ne  vale  la  pena.  Che  disperdi  energie  e  che  affanni  il  tuo cuore  in  tormenti  e  dolori  senza  che  quel  povero  muscolo  abbia  fatto  il  benché  minimo  errore  per meritarselo.  Sottoposta  a  subdoli  ricatti,  resti  attaccata  al  tuo  carnefice  senza  avere  la  possibilità  di  far valere  il  tuo  amor  proprio  e  la  tua  razionalità.  Resti  ferma  immobile  a  pensare  cose  più  o  meno  come queste,  sapendo  di  avere  perfettamente  ragione  ma  sentendo  viva  la  paura  di  perdere  lo  stesso  aguzzino che  ti  tortura,  con  un  quoziente  intellettivo  pari  a  quello  della  paglia  della  sedia  su  cui  tieni  il  culo  mentre piangi.
Perché  sei  pazza.
O  semplicemente  masochista.
O  semplicemente  vedi  oltre.
Troppo  oltre.
Vedi    cose  che non  ci  sono  e  di  cui  ti  sei  voluta  convincere  quando,  disperatamente,  hai  cercato  di  fare  fondamenta  di cemento  a  quel  castello  di  carta  che  ti  si  stava  sgretolando  tra  le  mani  quando  lui  era  ancora  convinto  che tu  fossi    magnifica  e  perfetta.  Che  tu  fossi  la  donna  dei  suoi  sogni.

E’  lì  che,  sottilmente,
sotto  la  pelle,  senti che  non è.
Che  non va.
Che  non  è per  te.
Che non  ti  basta.
Che  non  ti  completa.
Che  non  ti  appartiene  e  che tu  invece  gli  appartieni,  anche  troppo  e  non  perché  se  lo  meriti.
Così.
Gratis.
Perché  svendiamo  il  cuore  all’offerente  più  veloce  e  meglio  vestito.
Perché  siamo  pazze.
Pazze  furiose.
Senza  soluzione  di  continuità.

La  rabbia  troppo  spesso  non  è  buona  consigliera  ed  ha  il  magico  e strafottente  potere  di  farti  passare  per  la  peggiore  stronza  quando  hai  tutte  le  ragioni  del  mondo.  Perché sbagli  il  modo .  E’  questo  che  invidio  agli  uomini.  La  loro  totale  indifferenza.  Il  loro  saper    staccarsi  dalle mammelle  di  Dio  pur  di  badare  ai  loro  interessi  e  a  quello  che  a  loro  piace  di  più.

Certo  cadono,  ma  cadono sempre  troppo  tardi.
Quando  di  pazzia  a  noi  donne  non    ne  è  rimasta  neanche  un  briciolo  e  ormai  siamo diventate  più  o  meno  come  loro.  E  anche    lì,  pur  essendo  fatte  a  loro  immagine  e  somiglianza,  non  andiamo bene  mai.  Perché  “la  donna  non  è  più  donna”,  “troppo  prevaricante,  troppo  forte”,  troppo,  troppo,  sempre troppo.  E  allora  grandi  discorsi  universali  sulla  parità  che  non  esisterà  mai  perché
da  sola
non  puoi  cambiare una  gomma dell’auto,  ”  perché  fisicamente  non  hai  la  forza  per  farlo.
Deve  farlo  un  uomo”.

 E  lì
appariranno inutili  le  tue  richieste  sul  “ma  insegnamelo,  posso  imparare”  che  combatteranno  contro  inesorabili scuotimenti di testa a farti capire che quello che stai chiedendo è praticamente

IMPOSSIBILE.

Rido.

Strozzando un sorriso che di felicità ne ha ben poca, e che mastica amara consapevolezza e arrendevole rassegnazione.    






I gommisti.
Dovrebbero fare tutti i gommisti.          






Fin.

lunedì 21 settembre 2015

Chiara

Sono stata in ospedale.
Un' amica è diventata mamma ed è una di quelle volte che entri in ospedale come se non fosse affatto un ospedale. Il tuo bel sacchettino con il regalino di occasione, tutto infiocchettato e felice. Varchi la porta scorrevole, attraversi due o tre corridoi, incrociando lo sguardo di tutta la gente in attesa al pronto soccorso o dietro una porta. Aspettando un responso. E quasi ti senti in colpa. Oggi non c'entrano proprio nulla con te.
Sali le scale. E ti ritrovi una masnada di gente vociante, tutta con il tuo stesso sguardo, il tuo stesso pacchetto, la tua stessa felicità. In attesa di faccini nuovi, di primo sole. Poi le porte si aprono e la rumorosa carovana si disperde, ognuno verso la sua porticina della felicità. E tu imbocchi la tua. Entri e in lontananza vedi una ragazza che conosci bene, stremata ma felice, triste perché la vita è troppo strana...ma felice perché si culla tra le braccia quel fagottino rosa che tu non sapresti nemmeno come stringere a te. Ché è troppo piccola. Tentenni. Sorridi imbarazzata. Ti avvicini. Le sfiori la fronte e basta, ché di più sarebbe eresia. Metti il tuo pacchettino in fila con gli altri pacchettini e dai un bacio alla mamma..pensando che c' è troppa gente in fila per lo stesso bacio e che devi fare spazio.

E così ti ritrovi in corridoio..a parlare con un nonno innamorato e incredulo, un papà ancora tremante ed il ricordo di chi purtroppo non può esserci. E mentre partecipi con grande e sottile attenzione alle dolcezze del nonno, che proferisce gentilmente assiomi anche per te, la mente va altrove. Va a quello che vorresti. A quello che non sei. A quello che sei già. A quello che probabilmente non sarai mai. Ti guardi intorno e pensi che è tutto dannatamente bello e tutto dannatamente estraneo.
Non ti sei mai sentita a casa in nessun posto. Con nessuno. In nessuna situazione.

Parli ancora.
Consideri.
Soppesi.
Sorridi.
E tutta quella dolcezza mista a mestizia ti scava...ma la lasci fare. Fa parte di te.

Poi si fa tardi.
Un bacio ancora agli occhi stanchi della mamma. Un abbraccio al papà. Una carezza a Chiara ..ed ai suoi due giorni di vita.

Imbocchi le stesse porte. Gli stessi corridoi. E sei fuori.

E respiri con l'affanno. Come se tanta gioia e bellezza ti impedissero di respirare. Ma solo perché non ci sei abituata. E guardandoti un attimo alle spalle..senti... le urla di tua madre in travaglio, annusi l'odore delle cento sigarette di tuo padre in sala d'attesa , ascolti le risate della tua famiglia al tuo primo vagìto e ti perdi.

Perché è un attimo.
Solo un attimo.
E ti ritrovi lì a pensare che ti piacerebbe capire se ti toccherà mai ..urlare allo stesso modo.

Sali in macchina.
Buio.
Fari.

Ah si.
Devo fare benzina.
Domani sveglia alle sette.
Telefonate. Raccomandata 1. Banca.
Solita.




Non pensare.
Non pensare.


Benvenuta, gioia mia.*

domenica 20 settembre 2015

Conclusioni

Ah.. Solo questo.

Io odio aver ragione.
Il più delle volte quando ho ragione è a causa di qualcosa che mi fa soffrire.
Ma non lo comprende mai nessuno che non voglio aver ragione.
Si lo so che urlo, lo so che insisto, ma insisto perché cerco un' altrettanto prepotente smentita.

Io non voglio aver ragione.
No.
Mai.
Cerco disperatamente qualcuno che mi dimostri, senza nessuna possibilità di appello, che ho torto marcio.
E che mi asciughi le lacrime dicendomi che sono una cretina.

No.
Tanto per essere precisi.
Chissà perché alla fine l'intelligenza ti fotte.

Tutti a dire che non è così.
Tutti a dire che è una risorsa.
E tutti a dire.. "ma come.. proprio tu? Una come te?"..
E..proprio io.
Una come me. Io.

La stanchezza si annida nelle piccole cose ed è davvero difficile, a volte, scegliere di credere ancora. 

Non 'scegliere di sperare'. 
Sperare no. 
Quello è stupido. 
È deleterio. 
Speriamo quasi sempre nelle cose sbagliate. E speriamo sempre quando abbiamo paura. E io ho paura di avere paura.

Però tutta questa intelligenza.. Tutta questa meravigliosa sensibilità...che altro non è che un coltello tenuto dal lato sbagliato, fin'ora mi sono servite solo a vivere peggio di quanto avrei potuto fare. Forse anche peggio di come avrei meritato. Sempre che esista qualcosa da meritare. 

Intanto il mio mal di testa è incessante e la pioggia fuori dalla finestra lo è allo stesso modo.

Siete mai stanchi di aver paura?
E avete mai paura di non aver poi concluso granché fin'ora?
Vi balena mai in mente che, alla fine, non siete tanto diversi dalle persone che non amate.. che evitate.. che sembrano distanti da voi anni luce?

Sono la critica più acerrima di me stessa e sento che non cambierà mai.
Fino a due mesi fa adesso avrei fumato una sigaretta.

Avrei sentito la consolazione del solito familiare gesto del cercarmi l'accendino in tasca.
Avrei acceso una sigaretta.
Avrei dato la prima boccata e mi sarei persa, occhi sulla strada, dalla mia finestra, a pensare a che cazzo sto facendo e perché.

Avrei guardato tutto con gran precisione senza però fare caso a nulla.
I fari delle macchine. I cani sotto la pioggia. L'odore di asfalto mi avrebbe ricordato serate di almeno quindici anni fa e ciò avrebbe contribuito a farmi stare ancora peggio. Magnifico.

La realtà è che pensare troppo è una tagliola.
E avrei dovuto impare a questo punto.
Ma credo che per alcuni di noi la malinconia sia compagna fedele e silenziosa. 

Ho sempre troppe domande.
Da farmi.

E ne avevo troppe. Da farti.
Troppe che non avrebbero avuto risposta.
E allora non le ho partorite.
Le ho strozzate sul fondo della gola. 
Sarà per questo che mi fa cosi male.

Aver paura dell'amore.
È un paradosso che neanche Escher potrebbe disegnarmi.
Non è pensabile.
Non è "paradossabile"
Anche se non esiste Paradossabile.


Mi sciolgo i capelli e spengo la luce.
Dormire consola.
Anche se è una bugia.


E buonanotte.