Sono stanca.
E sono triste.
Irrimediabilmente.
Non ho altro da dire.
È tutto chiaro.
lunedì 16 novembre 2015
domenica 25 ottobre 2015
Il viaggio
La fine della strada
dopo la curva,
dopo il sentiero sterrato,
tu sai che è lì
seduta,
attende i tuoi passi.
Lei sa che non sai attendere,
che non vuoi.
Tu vuoi vedere
e questo ti brucerà,
vuoi vedere
che cos'è,
se esiste quel filo sottile ed estremo
quel sottile, esile segno di matita
che delimita la tua vita
e procedi come tartaruga sulla spiaggia
anche se ogni movimento
ti spegne,
anche se tutto
ti sussurra
"ascolta il vento
è troppo forte qui.
È troppo forte adesso."
Ma non ti fermi.
Ecco il confine.
dopo la curva,
dopo il sentiero sterrato,
tu sai che è lì
seduta,
attende i tuoi passi.
Lei sa che non sai attendere,
che non vuoi.
Tu vuoi vedere
e questo ti brucerà,
vuoi vedere
che cos'è,
se esiste quel filo sottile ed estremo
quel sottile, esile segno di matita
che delimita la tua vita
e procedi come tartaruga sulla spiaggia
anche se ogni movimento
ti spegne,
anche se tutto
ti sussurra
"ascolta il vento
è troppo forte qui.
È troppo forte adesso."
Ma non ti fermi.
Ecco il confine.
venerdì 23 ottobre 2015
Realtà
Ho visto
coriandoli
e larghi sorrisi
nati grazie a
stupidi e banali pretesti
dipingere davanti ai miei occhi
paesaggi festosi
misti a semplice malinconia
ed ho pensato a quanto non volessi
un solo colore
nella mia vita in quel momento.
ho visto
sguardi affascinati
dall'assoluto nulla di parole sconnesse
e senza un reale senso
ed ho sorriso
di quel sapersi accontentare
consapevole
che io
non potrò gioirne mai.
ho visto
mani tese
al cielo
aspettare un indiscusso miracolo
che sembrava dover compiersi
perché costretto dallo sperare della gente
e certezze indiscutibili
su cui preparavano altari per i loro sacrifici
in nome di divinità costanti
e produttive.
poi
ho dimenticato
tutto questo
e ho cercato altrove
ho trovato
soltanto
me stessa
e
ho rivisto
la mia esile
pallida
ombra
morire
al tramonto.
coriandoli
e larghi sorrisi
nati grazie a
stupidi e banali pretesti
dipingere davanti ai miei occhi
paesaggi festosi
misti a semplice malinconia
ed ho pensato a quanto non volessi
un solo colore
nella mia vita in quel momento.
ho visto
sguardi affascinati
dall'assoluto nulla di parole sconnesse
e senza un reale senso
ed ho sorriso
di quel sapersi accontentare
consapevole
che io
non potrò gioirne mai.
ho visto
mani tese
al cielo
aspettare un indiscusso miracolo
che sembrava dover compiersi
perché costretto dallo sperare della gente
e certezze indiscutibili
su cui preparavano altari per i loro sacrifici
in nome di divinità costanti
e produttive.
poi
ho dimenticato
tutto questo
e ho cercato altrove
ho trovato
soltanto
me stessa
e
ho rivisto
la mia esile
pallida
ombra
morire
al tramonto.
giovedì 22 ottobre 2015
Incoerenza
Incoerenza
[in-co-e-rèn-za]
[in-co-e-rèn-za]
s.f.
1 Mancanza di coerenza, di coesione:l'i. di una sostanza
2 fig. Mancanza di connessione, di uniformità logica: l'i. di un discorso.
Discrepanza tra il comportamento di una persona e i princìpi da essa professati.
1 Mancanza di coerenza, di coesione:l'i. di una sostanza
2 fig. Mancanza di connessione, di uniformità logica: l'i. di un discorso.
Discrepanza tra il comportamento di una persona e i princìpi da essa professati.
mercoledì 21 ottobre 2015
A metà
Alcuni nascono a metà, e nascono a metà per mille cose, a metà perchè si nasce prima di quando si dovrebbe o a metà perchè si nasce a metà del giorno, quando il sole non ha deciso se continuare imperterrito il suo lavoro o mettersi in sciopero.
Alcuni poi nascono a metà perchè nascono che il sole c'è ma piove, non forte eh... piove appena, in una mattina come tante altre, anonima.... la differenza è che c'è il sole e piove e non sai bene se sorridere o no; tu vorresti, perchè la luce che vedi tra le nuvole cercare di farsi strada a spallate con l'aiuto del vento, vorrebbe far si che la tua faccia desse vita a miriadi di piccolissime rughe che si alternano nelle espressioni di un'anima che sorride al mondo e si dice che forse non è tutto di merda come sembra... e proprio mentre sei sul punto di sorridere, una nuvola si piazza davanti al sole tagliandogli la strada, beffandosi di lui, violandolo e deridendolo e lo copre ed ecco che il burattinaio celeste, quel simpatico uomo dai capelli bianchi con la bottiglia di rhum in mano che governa il mondo o almeno così dice... lascia andare i fili del tuo sorriso ed inevitabilmente non sorridi più, ma piove fuori e dentro anche se non piangi, ma l'anima trasparente diventa grigia, pesante come il piombo.
Quand'ecco che torna il sole e allora riprendi coraggio, ti rialzi, con la terra ancora sulle ginocchia, sporco di sangue, polvere ovunque, la bicicletta ridotta in rottami, le ruote come corde piegate su se stesse ad otto e gli altri ridono.
Ma non ti dai per vinto, ti rialzi spavaldo, lasci la bici a terra, scrolli la polvere e scovi il tuo sorriso migliore che proprio non vuole saperne di venir fuori in quel momento, ma tu testardo lo stringi, e piano piano gli dai la spinta per arrivare fino alle labbra, ed in quel sorriso c'è scritto - "brutti figli di puttana, non mi avrete mai! sto bene e sono in piedi!" e sei pronto, lo senti il sorriso che ti solletica la lingua, frizzante, giocoso, coraggioso e colmo di lacrime almeno per metà.
Eccolo, sta per uscire, c'è quasi.... .... .... .... ... ... quand'ecco che nuvole ancora coprono il sole e ti ricordi che le ginocchia sanguinano e le gambe ti fanno male e la tua bicicletta è a terra e non osi pensare alla faccia di tua madre quando ti dirà che sei il solito buono a nulla, che non sai prenderti cura delle cose e non si preoccuperà minimamente delle tue gambe lei, no.... lei penserà, mani ai fianchi, allo stipendio di tuo padre assolutamente sprecato in quella bici-rottame e nessuno penserà alle tue ginocchia e al tuo cuore e a quelle risate che non fanno che sferzarti anima e orgoglio.
Ecco, così, così ci si sente se il sole fa capolino e piove, se il sole c'è ma non si concede.
Così si nasce in giorni tipo questo, quando il sole fa il prezioso, le nuvole violentano la luce e biciclette-rottame sferzano anime bambini, quando ginocchia giovani incontrano la polvere.
Pioggia e luce, e cresci, misuri gli avvenimenti della vita, valuti scelte e conseguenze.. tutto meticolosamente, come fosse un libro da seguire con attenzione, un manuale d'istruzioni a cui attenersi scrupolosamente e ti stupisci e gli occhi si riempiono di meraviglia a volte, ma solo a volte, e ogni cosa ti prende e ti colpisce e ti scava, come occhi a scrutare oltre l'orizzonte o a cercare qualcosa che credi di aver dimenticato.
O come quando apri un cassetto e ci trovi dentro qualcosa che nemmeno cercavi, ma quando la vedi lì prendi quello che non cercavi, apri quello che non cercavi e cominci a cercare qualcosa in quella cosa che non cercavi, cercando di capire se ci sia da cercare davvero o se cerchi solo di trovare qualcosa da cercare in quella cosa che non cercavi affatto.
Morale della favola: cercavi quello che non cercavi e che trovato hai senza cercare affatto, cercando nulla e cercando tutto nella consapevolezza di non cercare affatto.
“E quindi?
…il punto qual è ?”
“Il punto è che hai trovato qualcosa, che poi non è il punto, il punto è la fine, quel punto invece è solo l'inizio, si cerca per cominciare a fare, a parlare, a discutere, a scrivere... si cerca "per", non si cerca e basta.”
“Si, ok, ma che cosa cercavi e che cosa hai trovato?”
“Ho trovato qualcosa che non cercando ha trovato me, e adesso si comincia.”
“Si comincia?”
“Si.”
“Mh, si comincia a fare che?”
“Non lo so, se lo sapessi sarei già a metà, devo ancora cominciare, come faccio a saperlo?”
Ecco.
anche questo, anche il non senso delle cose appartiene a chi è nato a metà, tra sole e pioggia, a metà e senza meta, perchè c'è meta e metà ma ho idea che tu conosca già questo discorso.
E poi si parla da soli.
Si parla da soli se si nasce a metà, si parla in realtà con l'altra parte di sé, la parte preponderante, che è quella fatta di pioggia, al contrario della parte minore, quella fatta di sole che esce allo scoperto solo qualche volta e, dopotutto, in questo rispecchia la realtà.
E si parla, si parla di tutto, del tempo, della fame nel mondo, della biotecnologia, della clonazione, dell'apocalisse, delle doppie punte, dell'amico della cognata della cugina che si è sposata con il fratello dell'amico del cugino di secondo grado della nonna, che sarebbe poi la sorella della madre della zia della nuora di tuo genero, che altri non è che il figlio di un amico dell'amante del cognato di suo suocero; non c'è che dire, un gran bel lavoro per un neurone diviso in due.
E si parla e si parla, allo specchio, sotto la doccia, e si piange e si ride ma in contemporanea, così come il codice comportamentale dei nati tra pioggia e sole prevede:
art. 1
- mai ridere esclusivamente perché si è divertiti, potrebbe lenire il sistema nervoso di A( la parte piovosa) e procurare piogge sparse e ripetute sulle curve degli occhi.
art. 2
- piangere spesso, anche se si è felici, poiché B (la parte di sole) in questo modo riuscirà ad abituarsi all'ineluttabilità delle situazioni e cioè all'assoluta certezza che sarà sempre più facile piangere che ridere e un po’ di esercizio, si sa, fa bene.
art. 3
- bere ogni singola lacrima, lasciarla ammorbidire sulle labbra e ingoiarla poi. Sembra, infatti, che il sAle possa essere d'aiuto alla mancanza di sOle nell'anima, cambia una vocale è vero, ma sembra che la tecnologia stia facendo miracoli, riusciremo presto a prendere per il culo i sentimenti e vendere così un pacco di sale contro ogni giornata di pioggia.
art. 4
- chi scrive e detta questi articoli è una persona di pioggia e sole, potrebbero esserci contraddizioni imponenti all'interno dello scritto, lasciamo quindi una libera interpretazione al lettore che potrà decidere se arrivare in fondo alla lettura del regolamento o giocare a basket con i fogli di questo codice, accuratamente arrotolati e lanciati verso il cestino.
E così...
inutili dissertazioni dell'anima che allegramente prende per in giro la mente e la distrugge e ne fa brandelli e ne fa malinconia, che altro non è che Pane di sole e pioggia.
Sole come farina e acqua.. beh, acqua come acqua.
Si impastano, con mani a modellare quello che sarà, forti, armoniose, come immerse in un sogno che creano un passo alla volta, un movimento alla volta, con pugni chiusi e braccia a curvare la consistenza di quella pasta di vita che si mischia a e nasce e si forma in ogni deciso sussulto delle mani, della coscienza, della volontà.
Si amalgama bene tutto e così, panettieri dell'anima, si mette a cuocere il composto nel forno della vita e si presta attenzione e ci si controlla, la temperatura, la forma della teglia, né troppo grande né troppo piccola, giusta, come poi si faccia a capire che è giusta a nessuno è molto chiaro, è una di quelle cose che si sanno e basta.
Come il sale quando si cucina.
Ci si scalda al calore fittizio delle luci, delle case, delle vetrine, delle promesse e macchine superaccessoriate e motori rombanti e damerini e ventiquattrore e donne bellissime e liti e disperate discussioni su quanto sia importante comprare l'ultimo modello di scarpe alla moda.
E tutto è così perfettamente fittizio, scaldato alla luce di quello che quotidianamente ci circonda senza chiederci il permesso di farlo, scaldandoci fittamente e fissamente e noi fermi, comodi all'interno del forno di giorni che implacabili ci ingabbiano in convinzioni e voci e sorrisi stolti e uomini e assurdità.
Poi però, però un giorno qualcosa cambia e succede che quell'impasto, quello che tanto accuratamente stavamo facendo cuocere a fuoco lento, comodamente adagiati nelle nostre abitudini, comincia a bruciarsi, comincia a cambiar colore.
E intorno?
Intorno tutto svanisce.
Tutto, completamente.
E... "oddio, caro, le azioni, la borsa sta crollando, perderemo la casa di Tenerife, come faremo? il bambino a 18 anni non potrà avere la Mercedes che gli ho promesso...!! E’terribile!!... e la cameriera brasiliana, di questo passo dovrò anche pagarle i contributi e trattarla.... trattarla come una persona! ma ti rendi conto, tesoro? tesoro?...ehm… tesoro?
Seeee.... tesoro.
Tesoro è scappato con la cameriera brasiliana, che oltre ad avere vent’anni meno di te, è una persona con una testa e un cuore magari, anche se, forse, tuo marito è scappato con lei solo per il suo culo.
E allora tutto va in malora e quell'impasto continua a bruciarsi.
Allora? allora tenti l'impossibile.
Apri il forno, esci dalla gabbia e via le convinzioni, le convenzioni, i luoghi comuni, le pagine prestampate, i moduli da compilare, via il vestito, la ventiquattrore, il caffè, le voci, i sorrisi a metà che interi non saranno mai, via tutto.
Spegni il forno, resti tu, solo.
Solo.
Pericolo scampato, pensi. Si, sono salvo, assolutamente salvo.
Ma qualcosa non va, qualcosa non va, quell'impasto continua a bruciare, è assurdo.
Non può essere, il forno è spento e sono al buio, non può cuocere e non può bruciare e poi non c'è cattivo odore, se stesse bruciando davvero sentirei dall'odore che brucia.
Però lo sai, lo senti comunque che continua a bruciare.
E come un folle, pazzo, disperato, ti guardi intorno cercando una via di fuga.
Ma quando una cosa la cerchi non la trovi, dovresti trovare qualcosa non cercandola, potresti provare ma non varrebbe, perchè fingeresti di non cercare nulla, potresti ingannare il mondo ma non te e non essendo in buona fede non troveresti comunque nulla, perchè si trova se non si cerca e si cerca proprio quando non si sa di star cercando e si trova in quel caso, ma solo in quel caso, solo se si è limpidi e innocenti, in un certo senso.
Disperato.
Sei pronto e rassegnato.
Perderai quello che hai impastato con cura.
Poi però, in un attimo, capisci.
L'impasto brucia.
Si.
Brucia per autocombustione, brucia dall'interno.
Perchè?
Perchè il sole è venuto fuori.
Ricordi?
Avevo detto che la parte preponderante è la pioggia.
Beh, tu hai impastato pioggia e sole e parte della pioggia era andata via, un po’ almeno, perchè unita alla farina di sole.
Ecco.
Poi hai messo tutto in forno e nonostante sia stata una gabbia, almeno in parte ha bruciato la pioggia che, caustica, inondava l'impasto, l’ha bruciata prosciugandola, ma dolcemente, a fuoco lento; se però avesse continuato a cuocerla, di certo, avrebbe finito col seccare completamente la pasta, che avrebbe perso la sua bellezza, la perfezione delle forme e delle curve, ecco perchè hai dovuto spegnere il forno.
Il sole, è il sole ha fatto il resto, la pioggia era andata via e lui ha preso il controllo della situazione, ha asciugato le lacrime di quel bambino, ha portato via la bicicletta-rottame ed ha illuminato il sorriso della madre che ha curato le ginocchia e l'anima di un figlio che, perso, camminava nella polvere del suo dolore.
Quell'impasto cresciuto per combustione interna ha vinto la pioggia e l'ha giocata due volte, togliendole potere e rubando il sale che portava in sé così da insaporire quella torta di cuore, che adesso è luce e sale, e sole e sale, e sole e basta, visto che la tecnologia avanza e le vocali contano poco.
Così si va, per chi nasce di sole e pioggia, in un mattino di marzo, il giorno prima del giorno dei folli.
Così si va, per chi asciuga la pioggia con la forza del sole, per autocombustione.
Così si va, anche per me,
che ferma resto dietro la finestra
a toccare la pioggia con le dita,
in un mattino
di lacrime buone e luce.
Alcuni poi nascono a metà perchè nascono che il sole c'è ma piove, non forte eh... piove appena, in una mattina come tante altre, anonima.... la differenza è che c'è il sole e piove e non sai bene se sorridere o no; tu vorresti, perchè la luce che vedi tra le nuvole cercare di farsi strada a spallate con l'aiuto del vento, vorrebbe far si che la tua faccia desse vita a miriadi di piccolissime rughe che si alternano nelle espressioni di un'anima che sorride al mondo e si dice che forse non è tutto di merda come sembra... e proprio mentre sei sul punto di sorridere, una nuvola si piazza davanti al sole tagliandogli la strada, beffandosi di lui, violandolo e deridendolo e lo copre ed ecco che il burattinaio celeste, quel simpatico uomo dai capelli bianchi con la bottiglia di rhum in mano che governa il mondo o almeno così dice... lascia andare i fili del tuo sorriso ed inevitabilmente non sorridi più, ma piove fuori e dentro anche se non piangi, ma l'anima trasparente diventa grigia, pesante come il piombo.
Quand'ecco che torna il sole e allora riprendi coraggio, ti rialzi, con la terra ancora sulle ginocchia, sporco di sangue, polvere ovunque, la bicicletta ridotta in rottami, le ruote come corde piegate su se stesse ad otto e gli altri ridono.
Ma non ti dai per vinto, ti rialzi spavaldo, lasci la bici a terra, scrolli la polvere e scovi il tuo sorriso migliore che proprio non vuole saperne di venir fuori in quel momento, ma tu testardo lo stringi, e piano piano gli dai la spinta per arrivare fino alle labbra, ed in quel sorriso c'è scritto - "brutti figli di puttana, non mi avrete mai! sto bene e sono in piedi!" e sei pronto, lo senti il sorriso che ti solletica la lingua, frizzante, giocoso, coraggioso e colmo di lacrime almeno per metà.
Eccolo, sta per uscire, c'è quasi.... .... .... .... ... ... quand'ecco che nuvole ancora coprono il sole e ti ricordi che le ginocchia sanguinano e le gambe ti fanno male e la tua bicicletta è a terra e non osi pensare alla faccia di tua madre quando ti dirà che sei il solito buono a nulla, che non sai prenderti cura delle cose e non si preoccuperà minimamente delle tue gambe lei, no.... lei penserà, mani ai fianchi, allo stipendio di tuo padre assolutamente sprecato in quella bici-rottame e nessuno penserà alle tue ginocchia e al tuo cuore e a quelle risate che non fanno che sferzarti anima e orgoglio.
Ecco, così, così ci si sente se il sole fa capolino e piove, se il sole c'è ma non si concede.
Così si nasce in giorni tipo questo, quando il sole fa il prezioso, le nuvole violentano la luce e biciclette-rottame sferzano anime bambini, quando ginocchia giovani incontrano la polvere.
Pioggia e luce, e cresci, misuri gli avvenimenti della vita, valuti scelte e conseguenze.. tutto meticolosamente, come fosse un libro da seguire con attenzione, un manuale d'istruzioni a cui attenersi scrupolosamente e ti stupisci e gli occhi si riempiono di meraviglia a volte, ma solo a volte, e ogni cosa ti prende e ti colpisce e ti scava, come occhi a scrutare oltre l'orizzonte o a cercare qualcosa che credi di aver dimenticato.
O come quando apri un cassetto e ci trovi dentro qualcosa che nemmeno cercavi, ma quando la vedi lì prendi quello che non cercavi, apri quello che non cercavi e cominci a cercare qualcosa in quella cosa che non cercavi, cercando di capire se ci sia da cercare davvero o se cerchi solo di trovare qualcosa da cercare in quella cosa che non cercavi affatto.
Morale della favola: cercavi quello che non cercavi e che trovato hai senza cercare affatto, cercando nulla e cercando tutto nella consapevolezza di non cercare affatto.
“E quindi?
…il punto qual è ?”
“Il punto è che hai trovato qualcosa, che poi non è il punto, il punto è la fine, quel punto invece è solo l'inizio, si cerca per cominciare a fare, a parlare, a discutere, a scrivere... si cerca "per", non si cerca e basta.”
“Si, ok, ma che cosa cercavi e che cosa hai trovato?”
“Ho trovato qualcosa che non cercando ha trovato me, e adesso si comincia.”
“Si comincia?”
“Si.”
“Mh, si comincia a fare che?”
“Non lo so, se lo sapessi sarei già a metà, devo ancora cominciare, come faccio a saperlo?”
Ecco.
anche questo, anche il non senso delle cose appartiene a chi è nato a metà, tra sole e pioggia, a metà e senza meta, perchè c'è meta e metà ma ho idea che tu conosca già questo discorso.
E poi si parla da soli.
Si parla da soli se si nasce a metà, si parla in realtà con l'altra parte di sé, la parte preponderante, che è quella fatta di pioggia, al contrario della parte minore, quella fatta di sole che esce allo scoperto solo qualche volta e, dopotutto, in questo rispecchia la realtà.
E si parla, si parla di tutto, del tempo, della fame nel mondo, della biotecnologia, della clonazione, dell'apocalisse, delle doppie punte, dell'amico della cognata della cugina che si è sposata con il fratello dell'amico del cugino di secondo grado della nonna, che sarebbe poi la sorella della madre della zia della nuora di tuo genero, che altri non è che il figlio di un amico dell'amante del cognato di suo suocero; non c'è che dire, un gran bel lavoro per un neurone diviso in due.
E si parla e si parla, allo specchio, sotto la doccia, e si piange e si ride ma in contemporanea, così come il codice comportamentale dei nati tra pioggia e sole prevede:
art. 1
- mai ridere esclusivamente perché si è divertiti, potrebbe lenire il sistema nervoso di A( la parte piovosa) e procurare piogge sparse e ripetute sulle curve degli occhi.
art. 2
- piangere spesso, anche se si è felici, poiché B (la parte di sole) in questo modo riuscirà ad abituarsi all'ineluttabilità delle situazioni e cioè all'assoluta certezza che sarà sempre più facile piangere che ridere e un po’ di esercizio, si sa, fa bene.
art. 3
- bere ogni singola lacrima, lasciarla ammorbidire sulle labbra e ingoiarla poi. Sembra, infatti, che il sAle possa essere d'aiuto alla mancanza di sOle nell'anima, cambia una vocale è vero, ma sembra che la tecnologia stia facendo miracoli, riusciremo presto a prendere per il culo i sentimenti e vendere così un pacco di sale contro ogni giornata di pioggia.
art. 4
- chi scrive e detta questi articoli è una persona di pioggia e sole, potrebbero esserci contraddizioni imponenti all'interno dello scritto, lasciamo quindi una libera interpretazione al lettore che potrà decidere se arrivare in fondo alla lettura del regolamento o giocare a basket con i fogli di questo codice, accuratamente arrotolati e lanciati verso il cestino.
E così...
inutili dissertazioni dell'anima che allegramente prende per in giro la mente e la distrugge e ne fa brandelli e ne fa malinconia, che altro non è che Pane di sole e pioggia.
Sole come farina e acqua.. beh, acqua come acqua.
Si impastano, con mani a modellare quello che sarà, forti, armoniose, come immerse in un sogno che creano un passo alla volta, un movimento alla volta, con pugni chiusi e braccia a curvare la consistenza di quella pasta di vita che si mischia a e nasce e si forma in ogni deciso sussulto delle mani, della coscienza, della volontà.
Si amalgama bene tutto e così, panettieri dell'anima, si mette a cuocere il composto nel forno della vita e si presta attenzione e ci si controlla, la temperatura, la forma della teglia, né troppo grande né troppo piccola, giusta, come poi si faccia a capire che è giusta a nessuno è molto chiaro, è una di quelle cose che si sanno e basta.
Come il sale quando si cucina.
Ci si scalda al calore fittizio delle luci, delle case, delle vetrine, delle promesse e macchine superaccessoriate e motori rombanti e damerini e ventiquattrore e donne bellissime e liti e disperate discussioni su quanto sia importante comprare l'ultimo modello di scarpe alla moda.
E tutto è così perfettamente fittizio, scaldato alla luce di quello che quotidianamente ci circonda senza chiederci il permesso di farlo, scaldandoci fittamente e fissamente e noi fermi, comodi all'interno del forno di giorni che implacabili ci ingabbiano in convinzioni e voci e sorrisi stolti e uomini e assurdità.
Poi però, però un giorno qualcosa cambia e succede che quell'impasto, quello che tanto accuratamente stavamo facendo cuocere a fuoco lento, comodamente adagiati nelle nostre abitudini, comincia a bruciarsi, comincia a cambiar colore.
E intorno?
Intorno tutto svanisce.
Tutto, completamente.
E... "oddio, caro, le azioni, la borsa sta crollando, perderemo la casa di Tenerife, come faremo? il bambino a 18 anni non potrà avere la Mercedes che gli ho promesso...!! E’terribile!!... e la cameriera brasiliana, di questo passo dovrò anche pagarle i contributi e trattarla.... trattarla come una persona! ma ti rendi conto, tesoro? tesoro?...ehm… tesoro?
Seeee.... tesoro.
Tesoro è scappato con la cameriera brasiliana, che oltre ad avere vent’anni meno di te, è una persona con una testa e un cuore magari, anche se, forse, tuo marito è scappato con lei solo per il suo culo.
E allora tutto va in malora e quell'impasto continua a bruciarsi.
Allora? allora tenti l'impossibile.
Apri il forno, esci dalla gabbia e via le convinzioni, le convenzioni, i luoghi comuni, le pagine prestampate, i moduli da compilare, via il vestito, la ventiquattrore, il caffè, le voci, i sorrisi a metà che interi non saranno mai, via tutto.
Spegni il forno, resti tu, solo.
Solo.
Pericolo scampato, pensi. Si, sono salvo, assolutamente salvo.
Ma qualcosa non va, qualcosa non va, quell'impasto continua a bruciare, è assurdo.
Non può essere, il forno è spento e sono al buio, non può cuocere e non può bruciare e poi non c'è cattivo odore, se stesse bruciando davvero sentirei dall'odore che brucia.
Però lo sai, lo senti comunque che continua a bruciare.
E come un folle, pazzo, disperato, ti guardi intorno cercando una via di fuga.
Ma quando una cosa la cerchi non la trovi, dovresti trovare qualcosa non cercandola, potresti provare ma non varrebbe, perchè fingeresti di non cercare nulla, potresti ingannare il mondo ma non te e non essendo in buona fede non troveresti comunque nulla, perchè si trova se non si cerca e si cerca proprio quando non si sa di star cercando e si trova in quel caso, ma solo in quel caso, solo se si è limpidi e innocenti, in un certo senso.
Disperato.
Sei pronto e rassegnato.
Perderai quello che hai impastato con cura.
Poi però, in un attimo, capisci.
L'impasto brucia.
Si.
Brucia per autocombustione, brucia dall'interno.
Perchè?
Perchè il sole è venuto fuori.
Ricordi?
Avevo detto che la parte preponderante è la pioggia.
Beh, tu hai impastato pioggia e sole e parte della pioggia era andata via, un po’ almeno, perchè unita alla farina di sole.
Ecco.
Poi hai messo tutto in forno e nonostante sia stata una gabbia, almeno in parte ha bruciato la pioggia che, caustica, inondava l'impasto, l’ha bruciata prosciugandola, ma dolcemente, a fuoco lento; se però avesse continuato a cuocerla, di certo, avrebbe finito col seccare completamente la pasta, che avrebbe perso la sua bellezza, la perfezione delle forme e delle curve, ecco perchè hai dovuto spegnere il forno.
Il sole, è il sole ha fatto il resto, la pioggia era andata via e lui ha preso il controllo della situazione, ha asciugato le lacrime di quel bambino, ha portato via la bicicletta-rottame ed ha illuminato il sorriso della madre che ha curato le ginocchia e l'anima di un figlio che, perso, camminava nella polvere del suo dolore.
Quell'impasto cresciuto per combustione interna ha vinto la pioggia e l'ha giocata due volte, togliendole potere e rubando il sale che portava in sé così da insaporire quella torta di cuore, che adesso è luce e sale, e sole e sale, e sole e basta, visto che la tecnologia avanza e le vocali contano poco.
Così si va, per chi nasce di sole e pioggia, in un mattino di marzo, il giorno prima del giorno dei folli.
Così si va, per chi asciuga la pioggia con la forza del sole, per autocombustione.
Così si va, anche per me,
che ferma resto dietro la finestra
a toccare la pioggia con le dita,
in un mattino
di lacrime buone e luce.
domenica 18 ottobre 2015
A e B
A - Si soffoca... ti avrò chiesto mille volte di comprare un condizionatore.
B - Costa troppo un condizionatore.
A - Costa troppo anche fare una doccia ogni dieci minuti e con questo caldo non c'è altra soluzione.
B - Ok, potresti sempre regalarmelo tu un condizionatore.
A - E’ casa tua.
B - Casa mia? E’ anche casa tua, tesoro caro, siamo in due.
A - Siamo in due ma è come se non ci fossi, io.
B - E certo, non fai altro che scrivere e pensare, anche adesso non mi ascolti, sguardo perso e pensieri che scorrono via dalle dita. Fidati, tu sei fuori di testa.
A - Guarda che qui quella che fa più casino sei tu.
B - Io?.. io sarei quella che fa casino?
Fai più casino tu con tre giorni di silenzio che io ogni volta che piango.
(A è distratta)
A - Che ora è?
B - Non ne ho idea. E poi perché vuoi saperlo?
A - E’ che non trovo più il mio orologio e pensavo che tu potessi dirmi che ora è.
B - Non trovi il tuo orologio?
A - Pensavo che potessi dirmi almeno tu che ora è..
B - Dove hai messo il tuo orologio?
A - E’ che se non so che ora è comincio a innervosirmi, il cuore mi sale in gola e al posto del ticchettio si insinua quel fastidiosissimo battito del cuore e non posso capire che ora è, è irregolare, serve precisione.
Precisione. (Si agita)
B - L' avrai soltanto dimenticato da qualche parte.
A - Il mio cuore ha un battito in più, ne perde uno e ne riacquista uno subito dopo, raddoppia, certo, mi hanno detto che è normale, che ce l'ha il novanta per cento della gente ma non posso calcolare l'ora così, perché se perdo un secondo e poi... ne acquisto uno in più... si sfasa tutto…tutto.. completamente.. e poi sarò costretta a comprare un orologio nuovo.
Ed io voglio quello... soltanto quello.
B - Ascoltami, non l'hai perso.
A - (si agita moltissimo) Cerca, cerca nelle tasche, nel cassetto, dov'è?... dov'è?.. dove l'ho messo? dov'è? E’ quasi buio. Io.. io devo trovarlo. Devo. Devo.
B - Ehi... guardami, calmati...
(Le prende le braccia)
A – Tra poco sarà notte ed io senza orologio non resisterò non potrò sapere quante ore mancano alla luce del sole... e non troverò la strada e devo andare tra un po’, devo andare...devo andare giù.
B - La luce del sole? Quella puoi vederla, non ti serve un orologio.. (Cerca di comprendere ma non riesce) Ma di che cosa stai parlando… ? Andare dove? Di che cosa stai parlando? Mi spaventi.... (Agitatissima)
….che c'è? dove... dove vai?
A - Non decido io.
Io devo solo aprire la porta
B - Quale porta..?
Non ci sono porte qui, ci sono le stelle, siamo fuori.
A - C'è una porta, una porta. grande.
Devo solo aprila.
Guarda.
Guarda ..di fronte.. a te.
In basso.
B - (Terrorizzata) Non devi scendere lì, non puoi lasciarmi sola.
A - Non sarai sola.
B - (piange) Non andare…
A - Sto soffocando, devo andare …devo andare.. o mi trascineranno giù con la forza
Devo andare. (Piange e guarda B)
B - No..
A - Apri la porta..
Aiutami!..
apriamo la porta….!!!
..pesa.. da sola non ce la faccio, cazzo!.…
B - No!
A - Aiutami! Ti prego.. apri la porta..!!...
…apri questa cazzo di porta... apri..!!!!!
(B, confusa, aiuta A e la porta si apre;
precipita B )
(baratro)
buio
B - Costa troppo un condizionatore.
A - Costa troppo anche fare una doccia ogni dieci minuti e con questo caldo non c'è altra soluzione.
B - Ok, potresti sempre regalarmelo tu un condizionatore.
A - E’ casa tua.
B - Casa mia? E’ anche casa tua, tesoro caro, siamo in due.
A - Siamo in due ma è come se non ci fossi, io.
B - E certo, non fai altro che scrivere e pensare, anche adesso non mi ascolti, sguardo perso e pensieri che scorrono via dalle dita. Fidati, tu sei fuori di testa.
A - Guarda che qui quella che fa più casino sei tu.
B - Io?.. io sarei quella che fa casino?
Fai più casino tu con tre giorni di silenzio che io ogni volta che piango.
(A è distratta)
A - Che ora è?
B - Non ne ho idea. E poi perché vuoi saperlo?
A - E’ che non trovo più il mio orologio e pensavo che tu potessi dirmi che ora è.
B - Non trovi il tuo orologio?
A - Pensavo che potessi dirmi almeno tu che ora è..
B - Dove hai messo il tuo orologio?
A - E’ che se non so che ora è comincio a innervosirmi, il cuore mi sale in gola e al posto del ticchettio si insinua quel fastidiosissimo battito del cuore e non posso capire che ora è, è irregolare, serve precisione.
Precisione. (Si agita)
B - L' avrai soltanto dimenticato da qualche parte.
A - Il mio cuore ha un battito in più, ne perde uno e ne riacquista uno subito dopo, raddoppia, certo, mi hanno detto che è normale, che ce l'ha il novanta per cento della gente ma non posso calcolare l'ora così, perché se perdo un secondo e poi... ne acquisto uno in più... si sfasa tutto…tutto.. completamente.. e poi sarò costretta a comprare un orologio nuovo.
Ed io voglio quello... soltanto quello.
B - Ascoltami, non l'hai perso.
A - (si agita moltissimo) Cerca, cerca nelle tasche, nel cassetto, dov'è?... dov'è?.. dove l'ho messo? dov'è? E’ quasi buio. Io.. io devo trovarlo. Devo. Devo.
B - Ehi... guardami, calmati...
(Le prende le braccia)
A – Tra poco sarà notte ed io senza orologio non resisterò non potrò sapere quante ore mancano alla luce del sole... e non troverò la strada e devo andare tra un po’, devo andare...devo andare giù.
B - La luce del sole? Quella puoi vederla, non ti serve un orologio.. (Cerca di comprendere ma non riesce) Ma di che cosa stai parlando… ? Andare dove? Di che cosa stai parlando? Mi spaventi.... (Agitatissima)
….che c'è? dove... dove vai?
A - Non decido io.
Io devo solo aprire la porta
B - Quale porta..?
Non ci sono porte qui, ci sono le stelle, siamo fuori.
A - C'è una porta, una porta. grande.
Devo solo aprila.
Guarda.
Guarda ..di fronte.. a te.
In basso.
B - (Terrorizzata) Non devi scendere lì, non puoi lasciarmi sola.
A - Non sarai sola.
B - (piange) Non andare…
A - Sto soffocando, devo andare …devo andare.. o mi trascineranno giù con la forza
Devo andare. (Piange e guarda B)
B - No..
A - Apri la porta..
Aiutami!..
apriamo la porta….!!!
..pesa.. da sola non ce la faccio, cazzo!.…
B - No!
A - Aiutami! Ti prego.. apri la porta..!!...
…apri questa cazzo di porta... apri..!!!!!
(B, confusa, aiuta A e la porta si apre;
precipita B )
(baratro)
buio
venerdì 9 ottobre 2015
Quanto
Giorni in tumulto
ore spente in cerca di un orologio
che scandisca gli attimi
con la costanza di un respiro.
Sguardi pensosi
curiosi
colmi di non so quale voglia inconsueta
bramano la verità delle mie parole
e l'onestà dei miei pochi gesti.
Frasi che battono
come ordini alla porta dell'anima,
parole che intimano fiducia, speranza e vita...
sempre e perpetuamente non udite.
Quanto pensate
che si possa amare?
Quanto credete che
si possa resistere ?
Quanto immaginate
che si possa sopportare ?
quanto riuscite ad illudervi ancora
di poter conoscere davvero...?
ore spente in cerca di un orologio
che scandisca gli attimi
con la costanza di un respiro.
Sguardi pensosi
curiosi
colmi di non so quale voglia inconsueta
bramano la verità delle mie parole
e l'onestà dei miei pochi gesti.
Frasi che battono
come ordini alla porta dell'anima,
parole che intimano fiducia, speranza e vita...
sempre e perpetuamente non udite.
Quanto pensate
che si possa amare?
Quanto credete che
si possa resistere ?
Quanto immaginate
che si possa sopportare ?
quanto riuscite ad illudervi ancora
di poter conoscere davvero...?
sabato 26 settembre 2015
Festa
Guardi la fine della strada
e vedi un limite che segna
l'imminenza di una decisione.
La corsa, la salita,
lo scendere, il fermarsi,
non è che limite segnato dalla scelta.
Azione.
Stasi.
Azione della stasi.
Stasi di ogni azione.
Ancora vino?
Vorrei ma è lontano.
Mi accontenterò di un sorso,
voglio solo sentirne il sapore di casa.
La gente è felice,
o almeno spesso crede d'esserlo.
La mia parola è afona.
Incontro passato,
sereno adesso,
nel futuro.
La tristezza si annida in ogni sorriso,
nella malinconia del notare le piccole cose
e sentirle
e soffrire.
La perspicacia
è una punizione.
La tristezza,
stasera,
era nel mio bicchiere di vino
e nel mio sacchetto di carta pane.
Accenno un sorriso
che mesto disegna rughe di me,
chiusa in un sospiro.
Prosit.
e vedi un limite che segna
l'imminenza di una decisione.
La corsa, la salita,
lo scendere, il fermarsi,
non è che limite segnato dalla scelta.
Azione.
Stasi.
Azione della stasi.
Stasi di ogni azione.
Ancora vino?
Vorrei ma è lontano.
Mi accontenterò di un sorso,
voglio solo sentirne il sapore di casa.
La gente è felice,
o almeno spesso crede d'esserlo.
La mia parola è afona.
Incontro passato,
sereno adesso,
nel futuro.
La tristezza si annida in ogni sorriso,
nella malinconia del notare le piccole cose
e sentirle
e soffrire.
La perspicacia
è una punizione.
La tristezza,
stasera,
era nel mio bicchiere di vino
e nel mio sacchetto di carta pane.
Accenno un sorriso
che mesto disegna rughe di me,
chiusa in un sospiro.
Prosit.
mercoledì 23 settembre 2015
Considerazioni delle 11.55
La gente ti cerca quando ha bisogno di te.
Inutile illudersi.
I rapporti sono dettati tendenzialmente dal bisogno.
E non che io sia immune da questa dinamica, intendiamoci.
Ma ogni volta che ne ho la conferma la cosa in se mi stranisce troppo.
Che io non conosca ancora la mia vera natura?
Che mi manchi la consapevolezza?
Ho bisogno di un caffè.
Inutile illudersi.
I rapporti sono dettati tendenzialmente dal bisogno.
E non che io sia immune da questa dinamica, intendiamoci.
Ma ogni volta che ne ho la conferma la cosa in se mi stranisce troppo.
Che io non conosca ancora la mia vera natura?
Che mi manchi la consapevolezza?
Ho bisogno di un caffè.
martedì 22 settembre 2015
Parafulmine
Raccolgo pensieri sparsi ovunque gialli e rossi e come un rastrello sulle foglie di settembre mi abbatto inesorabile e stringo il mucchio cercando di far ordine, invano. Apparentemente unite ognuna si stacca e abbraccia e copre l'altra, e imprime il proprio colore su quello altrui senza timore, insolentemente, ma con dolcezza e ingenuità. Così i miei pensieri sovrastano quell'ordine comune e fittizio che cerco nella mente quando il vento del cuore scompiglia la Coscienza, cacciatrice di Caos. Liberi impavidi e coraggiosi come luce si librano sulle corde della musica che con l'aria si fa vita e si fa rumore, se ci si abbandona e non la si combatte. Un parafulmine nero cattura elettricità come fossero carezze; si sporge, allarga le braccia e rapisce quell'istante, chè se non lo facesse quella tensione si abbatterebbe su ogni cosa devastando tutto. Si guarda attorno ruota gli occhi e si lascia attaversare come la schiena da brividi, come gli occhi da colore come capelli da mani come le labbra da labbra come occhi da sangue, come sangue da occhi. Autunno del cuore, nasce amaranto e invecchia poi sotto un cielo poco pietoso e si consuma nell'inverno di uno sguardo stanco solo ricurvo disperato come rami di ulivo nella neve, e mani che graffiano la terra a scavare l'anima.
I gommisti
Amare.
La più immane cazzata che una donna sia inesorabilmente predisposta a fare.
Distruttivo, equivocabile, esigente e troppo egoista.
E’ quando vorresti riuscire ad emettere due suoni di senso compiuto e non ci riesci.
Ma non perché sei abbacinata dall’amore più infinito che si possa
provare, no. Quella è la prima parte.
Quella in cui la testa si rincoglionisce del tutto e va in stand-by per lasciare spazio ad una serie di fantasie inutili e deleterie, in cui si pensa autonomamente e senza che nessuno ci obblighi, che essere innamorati sia bellissimo, che renda felici, che completi, che possa risolvere ogni problema, sciogliere ogni dubbio, far risalire qualunque china, essere la luce che vedi dal fondo della caverna.
Perché l’amore è verità, spontaneità, dare senza ricevere, ridere, essere felici, essere amati, non essere mai soli. Essere protetti.
Poi una mattina ti svegli e sei la peggior cosa che potesse essere venuta al mondo. Perché lo stesso seme del tuo amore .. ti rigetta. Comincia a farti sentire una nullità e completamente sbagliata.
Un essere immondo senza la capacità di ripetere la tabellina del 5 senza fare errori.
E ti si affibbia un avverbio che il più delle volte è “troppo”. Ma mai in accezione positiva. Sempre negativa. Troppo opprimente, troppo stupida, troppo esigente, troppo, troppo, troppo. Per passare ad aggettivi come esagerata, paranoica e compagnia cantando.
E lì ti rendi conto che non ne vale la pena. Che disperdi energie e che affanni il tuo cuore in tormenti e dolori senza che quel povero muscolo abbia fatto il benché minimo errore per meritarselo. Sottoposta a subdoli ricatti, resti attaccata al tuo carnefice senza avere la possibilità di far valere il tuo amor proprio e la tua razionalità. Resti ferma immobile a pensare cose più o meno come queste, sapendo di avere perfettamente ragione ma sentendo viva la paura di perdere lo stesso aguzzino che ti tortura, con un quoziente intellettivo pari a quello della paglia della sedia su cui tieni il culo mentre piangi.
Perché sei pazza.
O semplicemente masochista.
O semplicemente vedi oltre.
Troppo oltre.
Vedi cose che non ci sono e di cui ti sei voluta convincere quando, disperatamente, hai cercato di fare fondamenta di cemento a quel castello di carta che ti si stava sgretolando tra le mani quando lui era ancora convinto che tu fossi magnifica e perfetta. Che tu fossi la donna dei suoi sogni.
E’ lì che, sottilmente,
sotto la pelle, senti che non è.
Che non va.
Che non è per te.
Che non ti basta.
Che non ti completa.
Che non ti appartiene e che tu invece gli appartieni, anche troppo e non perché se lo meriti.
Così.
Gratis.
Perché svendiamo il cuore all’offerente più veloce e meglio vestito.
Perché siamo pazze.
Pazze furiose.
Senza soluzione di continuità.
La rabbia troppo spesso non è buona consigliera ed ha il magico e strafottente potere di farti passare per la peggiore stronza quando hai tutte le ragioni del mondo. Perché sbagli il modo . E’ questo che invidio agli uomini. La loro totale indifferenza. Il loro saper staccarsi dalle mammelle di Dio pur di badare ai loro interessi e a quello che a loro piace di più.
Certo cadono, ma cadono sempre troppo tardi.
Quando di pazzia a noi donne non ne è rimasta neanche un briciolo e ormai siamo diventate più o meno come loro. E anche lì, pur essendo fatte a loro immagine e somiglianza, non andiamo bene mai. Perché “la donna non è più donna”, “troppo prevaricante, troppo forte”, troppo, troppo, sempre troppo. E allora grandi discorsi universali sulla parità che non esisterà mai perché
da sola
non puoi cambiare una gomma dell’auto, ” perché fisicamente non hai la forza per farlo.
Deve farlo un uomo”.
E lì
appariranno inutili le tue richieste sul “ma insegnamelo, posso imparare” che combatteranno contro inesorabili scuotimenti di testa a farti capire che quello che stai chiedendo è praticamente
IMPOSSIBILE.
Rido.
Strozzando un sorriso che di felicità ne ha ben poca, e che mastica amara consapevolezza e arrendevole rassegnazione.
I gommisti.
Dovrebbero fare tutti i gommisti.
Fin.
La più immane cazzata che una donna sia inesorabilmente predisposta a fare.
Distruttivo, equivocabile, esigente e troppo egoista.
E’ quando vorresti riuscire ad emettere due suoni di senso compiuto e non ci riesci.
Ma non perché sei abbacinata dall’amore più infinito che si possa
provare, no. Quella è la prima parte.
Quella in cui la testa si rincoglionisce del tutto e va in stand-by per lasciare spazio ad una serie di fantasie inutili e deleterie, in cui si pensa autonomamente e senza che nessuno ci obblighi, che essere innamorati sia bellissimo, che renda felici, che completi, che possa risolvere ogni problema, sciogliere ogni dubbio, far risalire qualunque china, essere la luce che vedi dal fondo della caverna.
Perché l’amore è verità, spontaneità, dare senza ricevere, ridere, essere felici, essere amati, non essere mai soli. Essere protetti.
Poi una mattina ti svegli e sei la peggior cosa che potesse essere venuta al mondo. Perché lo stesso seme del tuo amore .. ti rigetta. Comincia a farti sentire una nullità e completamente sbagliata.
Un essere immondo senza la capacità di ripetere la tabellina del 5 senza fare errori.
E ti si affibbia un avverbio che il più delle volte è “troppo”. Ma mai in accezione positiva. Sempre negativa. Troppo opprimente, troppo stupida, troppo esigente, troppo, troppo, troppo. Per passare ad aggettivi come esagerata, paranoica e compagnia cantando.
E lì ti rendi conto che non ne vale la pena. Che disperdi energie e che affanni il tuo cuore in tormenti e dolori senza che quel povero muscolo abbia fatto il benché minimo errore per meritarselo. Sottoposta a subdoli ricatti, resti attaccata al tuo carnefice senza avere la possibilità di far valere il tuo amor proprio e la tua razionalità. Resti ferma immobile a pensare cose più o meno come queste, sapendo di avere perfettamente ragione ma sentendo viva la paura di perdere lo stesso aguzzino che ti tortura, con un quoziente intellettivo pari a quello della paglia della sedia su cui tieni il culo mentre piangi.
Perché sei pazza.
O semplicemente masochista.
O semplicemente vedi oltre.
Troppo oltre.
Vedi cose che non ci sono e di cui ti sei voluta convincere quando, disperatamente, hai cercato di fare fondamenta di cemento a quel castello di carta che ti si stava sgretolando tra le mani quando lui era ancora convinto che tu fossi magnifica e perfetta. Che tu fossi la donna dei suoi sogni.
E’ lì che, sottilmente,
sotto la pelle, senti che non è.
Che non va.
Che non è per te.
Che non ti basta.
Che non ti completa.
Che non ti appartiene e che tu invece gli appartieni, anche troppo e non perché se lo meriti.
Così.
Gratis.
Perché svendiamo il cuore all’offerente più veloce e meglio vestito.
Perché siamo pazze.
Pazze furiose.
Senza soluzione di continuità.
La rabbia troppo spesso non è buona consigliera ed ha il magico e strafottente potere di farti passare per la peggiore stronza quando hai tutte le ragioni del mondo. Perché sbagli il modo . E’ questo che invidio agli uomini. La loro totale indifferenza. Il loro saper staccarsi dalle mammelle di Dio pur di badare ai loro interessi e a quello che a loro piace di più.
Certo cadono, ma cadono sempre troppo tardi.
Quando di pazzia a noi donne non ne è rimasta neanche un briciolo e ormai siamo diventate più o meno come loro. E anche lì, pur essendo fatte a loro immagine e somiglianza, non andiamo bene mai. Perché “la donna non è più donna”, “troppo prevaricante, troppo forte”, troppo, troppo, sempre troppo. E allora grandi discorsi universali sulla parità che non esisterà mai perché
da sola
non puoi cambiare una gomma dell’auto, ” perché fisicamente non hai la forza per farlo.
Deve farlo un uomo”.
E lì
appariranno inutili le tue richieste sul “ma insegnamelo, posso imparare” che combatteranno contro inesorabili scuotimenti di testa a farti capire che quello che stai chiedendo è praticamente
IMPOSSIBILE.
Rido.
Strozzando un sorriso che di felicità ne ha ben poca, e che mastica amara consapevolezza e arrendevole rassegnazione.
I gommisti.
Dovrebbero fare tutti i gommisti.
Fin.
lunedì 21 settembre 2015
Chiara
Sono stata in ospedale.
Un' amica è diventata mamma ed è una di quelle volte che entri in ospedale come se non fosse affatto un ospedale. Il tuo bel sacchettino con il regalino di occasione, tutto infiocchettato e felice. Varchi la porta scorrevole, attraversi due o tre corridoi, incrociando lo sguardo di tutta la gente in attesa al pronto soccorso o dietro una porta. Aspettando un responso. E quasi ti senti in colpa. Oggi non c'entrano proprio nulla con te.
Sali le scale. E ti ritrovi una masnada di gente vociante, tutta con il tuo stesso sguardo, il tuo stesso pacchetto, la tua stessa felicità. In attesa di faccini nuovi, di primo sole. Poi le porte si aprono e la rumorosa carovana si disperde, ognuno verso la sua porticina della felicità. E tu imbocchi la tua. Entri e in lontananza vedi una ragazza che conosci bene, stremata ma felice, triste perché la vita è troppo strana...ma felice perché si culla tra le braccia quel fagottino rosa che tu non sapresti nemmeno come stringere a te. Ché è troppo piccola. Tentenni. Sorridi imbarazzata. Ti avvicini. Le sfiori la fronte e basta, ché di più sarebbe eresia. Metti il tuo pacchettino in fila con gli altri pacchettini e dai un bacio alla mamma..pensando che c' è troppa gente in fila per lo stesso bacio e che devi fare spazio.
E così ti ritrovi in corridoio..a parlare con un nonno innamorato e incredulo, un papà ancora tremante ed il ricordo di chi purtroppo non può esserci. E mentre partecipi con grande e sottile attenzione alle dolcezze del nonno, che proferisce gentilmente assiomi anche per te, la mente va altrove. Va a quello che vorresti. A quello che non sei. A quello che sei già. A quello che probabilmente non sarai mai. Ti guardi intorno e pensi che è tutto dannatamente bello e tutto dannatamente estraneo.
Non ti sei mai sentita a casa in nessun posto. Con nessuno. In nessuna situazione.
Parli ancora.
Consideri.
Soppesi.
Sorridi.
E tutta quella dolcezza mista a mestizia ti scava...ma la lasci fare. Fa parte di te.
Poi si fa tardi.
Un bacio ancora agli occhi stanchi della mamma. Un abbraccio al papà. Una carezza a Chiara ..ed ai suoi due giorni di vita.
Imbocchi le stesse porte. Gli stessi corridoi. E sei fuori.
E respiri con l'affanno. Come se tanta gioia e bellezza ti impedissero di respirare. Ma solo perché non ci sei abituata. E guardandoti un attimo alle spalle..senti... le urla di tua madre in travaglio, annusi l'odore delle cento sigarette di tuo padre in sala d'attesa , ascolti le risate della tua famiglia al tuo primo vagìto e ti perdi.
Perché è un attimo.
Solo un attimo.
E ti ritrovi lì a pensare che ti piacerebbe capire se ti toccherà mai ..urlare allo stesso modo.
Sali in macchina.
Buio.
Fari.
Ah si.
Devo fare benzina.
Domani sveglia alle sette.
Telefonate. Raccomandata 1. Banca.
Solita.
Non pensare.
Non pensare.
Benvenuta, gioia mia.*
Un' amica è diventata mamma ed è una di quelle volte che entri in ospedale come se non fosse affatto un ospedale. Il tuo bel sacchettino con il regalino di occasione, tutto infiocchettato e felice. Varchi la porta scorrevole, attraversi due o tre corridoi, incrociando lo sguardo di tutta la gente in attesa al pronto soccorso o dietro una porta. Aspettando un responso. E quasi ti senti in colpa. Oggi non c'entrano proprio nulla con te.
Sali le scale. E ti ritrovi una masnada di gente vociante, tutta con il tuo stesso sguardo, il tuo stesso pacchetto, la tua stessa felicità. In attesa di faccini nuovi, di primo sole. Poi le porte si aprono e la rumorosa carovana si disperde, ognuno verso la sua porticina della felicità. E tu imbocchi la tua. Entri e in lontananza vedi una ragazza che conosci bene, stremata ma felice, triste perché la vita è troppo strana...ma felice perché si culla tra le braccia quel fagottino rosa che tu non sapresti nemmeno come stringere a te. Ché è troppo piccola. Tentenni. Sorridi imbarazzata. Ti avvicini. Le sfiori la fronte e basta, ché di più sarebbe eresia. Metti il tuo pacchettino in fila con gli altri pacchettini e dai un bacio alla mamma..pensando che c' è troppa gente in fila per lo stesso bacio e che devi fare spazio.
E così ti ritrovi in corridoio..a parlare con un nonno innamorato e incredulo, un papà ancora tremante ed il ricordo di chi purtroppo non può esserci. E mentre partecipi con grande e sottile attenzione alle dolcezze del nonno, che proferisce gentilmente assiomi anche per te, la mente va altrove. Va a quello che vorresti. A quello che non sei. A quello che sei già. A quello che probabilmente non sarai mai. Ti guardi intorno e pensi che è tutto dannatamente bello e tutto dannatamente estraneo.
Non ti sei mai sentita a casa in nessun posto. Con nessuno. In nessuna situazione.
Parli ancora.
Consideri.
Soppesi.
Sorridi.
E tutta quella dolcezza mista a mestizia ti scava...ma la lasci fare. Fa parte di te.
Poi si fa tardi.
Un bacio ancora agli occhi stanchi della mamma. Un abbraccio al papà. Una carezza a Chiara ..ed ai suoi due giorni di vita.
Imbocchi le stesse porte. Gli stessi corridoi. E sei fuori.
E respiri con l'affanno. Come se tanta gioia e bellezza ti impedissero di respirare. Ma solo perché non ci sei abituata. E guardandoti un attimo alle spalle..senti... le urla di tua madre in travaglio, annusi l'odore delle cento sigarette di tuo padre in sala d'attesa , ascolti le risate della tua famiglia al tuo primo vagìto e ti perdi.
Perché è un attimo.
Solo un attimo.
E ti ritrovi lì a pensare che ti piacerebbe capire se ti toccherà mai ..urlare allo stesso modo.
Sali in macchina.
Buio.
Fari.
Ah si.
Devo fare benzina.
Domani sveglia alle sette.
Telefonate. Raccomandata 1. Banca.
Solita.
Non pensare.
Non pensare.
Benvenuta, gioia mia.*
domenica 20 settembre 2015
Conclusioni
Ah.. Solo questo.
Io odio aver ragione.
Il più delle volte quando ho ragione è a causa di qualcosa che mi fa soffrire.
Ma non lo comprende mai nessuno che non voglio aver ragione.
Si lo so che urlo, lo so che insisto, ma insisto perché cerco un' altrettanto prepotente smentita.
Io non voglio aver ragione.
No.
Mai.
Cerco disperatamente qualcuno che mi dimostri, senza nessuna possibilità di appello, che ho torto marcio.
E che mi asciughi le lacrime dicendomi che sono una cretina.
No.
Tanto per essere precisi.
Io odio aver ragione.
Il più delle volte quando ho ragione è a causa di qualcosa che mi fa soffrire.
Ma non lo comprende mai nessuno che non voglio aver ragione.
Si lo so che urlo, lo so che insisto, ma insisto perché cerco un' altrettanto prepotente smentita.
Io non voglio aver ragione.
No.
Mai.
Cerco disperatamente qualcuno che mi dimostri, senza nessuna possibilità di appello, che ho torto marcio.
E che mi asciughi le lacrime dicendomi che sono una cretina.
No.
Tanto per essere precisi.
Chissà perché alla fine l'intelligenza ti fotte.
Tutti a dire che non è così.
Tutti a dire che è una risorsa.
E tutti a dire.. "ma come.. proprio tu? Una come te?"..
E..proprio io.
Una come me. Io.
La stanchezza si annida nelle piccole cose ed è davvero difficile, a volte, scegliere di credere ancora.
Non 'scegliere di sperare'.
Sperare no.
Quello è stupido.
È deleterio.
Speriamo quasi sempre nelle cose sbagliate. E speriamo sempre quando abbiamo paura. E io ho paura di avere paura.
Però tutta questa intelligenza.. Tutta questa meravigliosa sensibilità...che altro non è che un coltello tenuto dal lato sbagliato, fin'ora mi sono servite solo a vivere peggio di quanto avrei potuto fare. Forse anche peggio di come avrei meritato. Sempre che esista qualcosa da meritare.
Intanto il mio mal di testa è incessante e la pioggia fuori dalla finestra lo è allo stesso modo.
Siete mai stanchi di aver paura?
E avete mai paura di non aver poi concluso granché fin'ora?
Vi balena mai in mente che, alla fine, non siete tanto diversi dalle persone che non amate.. che evitate.. che sembrano distanti da voi anni luce?
Sono la critica più acerrima di me stessa e sento che non cambierà mai.
Fino a due mesi fa adesso avrei fumato una sigaretta.
Avrei sentito la consolazione del solito familiare gesto del cercarmi l'accendino in tasca.
Avrei acceso una sigaretta.
Avrei dato la prima boccata e mi sarei persa, occhi sulla strada, dalla mia finestra, a pensare a che cazzo sto facendo e perché.
Avrei guardato tutto con gran precisione senza però fare caso a nulla.
I fari delle macchine. I cani sotto la pioggia. L'odore di asfalto mi avrebbe ricordato serate di almeno quindici anni fa e ciò avrebbe contribuito a farmi stare ancora peggio. Magnifico.
La realtà è che pensare troppo è una tagliola.
E avrei dovuto impare a questo punto.
Ma credo che per alcuni di noi la malinconia sia compagna fedele e silenziosa.
Ho sempre troppe domande.
Da farmi.
E ne avevo troppe. Da farti.
Troppe che non avrebbero avuto risposta.
E allora non le ho partorite.
Le ho strozzate sul fondo della gola.
Sarà per questo che mi fa cosi male.
Aver paura dell'amore.
È un paradosso che neanche Escher potrebbe disegnarmi.
Non è pensabile.
Non è "paradossabile"
Anche se non esiste Paradossabile.
Mi sciolgo i capelli e spengo la luce.
Dormire consola.
Anche se è una bugia.
E buonanotte.
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